Il cervello non finisce mai di stupire. Non solo sa comporre musiche sublimi, ma "suona" in proprio.
Dan Lloyd, filosofo del Trinity College di Hartford, negli Stati Uniti, è riuscito ad ascoltare la musica del suo cervello e ha appena raccontato l' esperienza su New Scientist. Il ricercatore nel suo esperimento ha usato la risonanza magnetica funzionale, un apparecchio che quantifica l' afflusso di sangue alle varie zone del cervello. Poiché l' aumento dell' irrorazione in una zona o nell' altra del cervello dipende dal tipo di attività, la RNM riesce a identificare quali regioni si "accendono" durante specifici compiti, misurando anche l' intensità dell' attività che corrisponde a quella dell' irrorazione. I risultati sono mappe del cervello con le varie aree colorate in modo diverso e scansioni a video (come quelle riportate nella foto). Qui il colpo di genio di Lloyd, che ha trasformato in musica quelle immagini: per farlo ha messo a punto un software che associa una nota musicale a ciascuna delle aree cerebrali che di volta in volta si accendono, attribuendole un volume proporzionale all' intensità dell' attività. L' americano ha quindi fatto una prova su se stesso, sottoponendosi a risonanza mentre guidava un' auto virtuale al computer o stava a riposo, per poi passare nel software le scansioni ottenute: gli è bastato ascoltare le note prodotte dal suo cervello per distinguere il momento in cui aveva cambiato attività. Incuriosito, ha provato a usare come "spartito" le risonanze di persone sane e di pazienti con demenza o schizofrenia, scoprendo che la musica dei loro cervelli era parecchio diversa. Gli schizofrenici, ad esempio, passano da un' attività cerebrale intensa a una scarsa in modo casuale; chi soffre di demenza manifesta le disfunzioni con ritmi irregolari. Alcuni cambi di melodia erano correlati a modifiche dell' attività cerebrale evidenti sulle immagini della risonanza, altri non erano associati a variazioni altrettanto visibili: come se "ascoltando" il cervello riuscissimo a distinguere ogni suo minimo mutamento di attività, meglio che "guardandolo". Ma tutto questo potrà mai servire a qualcosa? Secondo alcuni neuroscienziati sì: a livello sperimentale, aiuterà a identificare regioni cerebrali da scandagliare in maniera approfondita, che sono attive anche se a "prima vista" non è possibile accorgersene; le melodie cerebrali inoltre sarebbero utili per capire come le varie aree si accendono e si spengono nel tempo, molto di più di quanto sia possibile solo osservando immagini prese in successione. E poi ci sarebbe l' implicazione clinica, ovvero ascoltare il cervello per diagnosticarne le patologie: sarà mai possibile riuscirci? «Forse, ma non nell' immediato futuro - osserva Marco De Curtis, responsabile del Laboratorio di fisiologia dei sistemi corticali, all' Istituto Besta di Milano -. La trasformazione in musica della risonanza è un tema da approfondire, ma è difficile che possa mai sostituire la visita clinica nella diagnosi di schizofrenia, demenza o altre patologie neurologiche. Forse, se si dimostrerà con certezza che un certo ritmo è marcatore di disturbi specifici, sarà possibile usare questo tipo di indagine per approfondire la diagnosi in pazienti con un sospetto di malattia neurologica».
Di certo c' è che, per ora, pure la risonanza magnetica funzionale standard esce poco fuori dai laboratori di ricerca. «In clinica le applicazioni non sono molte - ammette De Curtis -. Si usa, ad esempio, se dobbiamo operare il cervello per eliminare un tumore, per non intaccare zone indispensabili o per verificare che altre aree cerebrali stiano funzionando al posto di quelle malate». Della musica del cervello si potrebbero però fare anche usi meno scientifici. «Non è un suono pulito, né una vera melodia, - ha detto Lloyd - ma non è neanche rumore casuale: è una "quasi musica" piacevole. I miei studenti se la sono già caricata sui lettori mp3».Ad ogni area è abbinato un colore e a ogni colore una nota…
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